Per secoli, la visione classica delle emozioni ha
dominato il nostro pensiero, suggerendo che le emozioni siano entità
universali, innate e facilmente riconoscibili. Tuttavia, recenti ricerche nel
campo delle neuroscienze e della psicologia cognitiva stanno rivoluzionando
questa concezione, proponendo un modello più complesso e sfumato di come
funzionano le nostre emozioni. Questo articolo esplora la teoria dell'emozione
costruita, un paradigma emergente che sta ridefinendo la nostra comprensione
dell'intelligenza emotiva e del suo impatto sulla nostra vita quotidiana. La teoria dell'emozione costruita, proposta dalla
neuroscienziata Lisa Feldman Barrett, sfida l'idea che le emozioni siano
reazioni universali e automatiche a stimoli esterni [1]. Invece, suggerisce che
le emozioni siano costruzioni mentali complesse, create dal nostro cervello
sulla base di esperienze passate, contesto culturale e previsioni sul futuro. Secondo questa teoria, il nostro cervello opera
costantemente attraverso un processo di simulazione e previsione. Utilizza le
esperienze passate, organizzate in concetti, per interpretare gli input
sensoriali attuali e prevedere le azioni più appropriate. Questo processo non è
limitato alle emozioni, ma è fondamentale per tutte le nostre esperienze
coscienti [2].
Un elemento chiave nella costruzione delle
emozioni è il sistema interocettivo, responsabile della nostra consapevolezza
delle sensazioni interne del corpo. Questo sistema non solo regola le funzioni
corporee di base, ma gioca anche un ruolo cruciale nella formazione delle
nostre esperienze emotive [3]. Il concetto di "budget corporeo" è
centrale in questo processo. Il cervello cerca costantemente di mantenere un
equilibrio energetico, prevedendo i bisogni del corpo e regolando di
conseguenza le risorse. Queste previsioni interocettive non solo influenzano il
nostro stato fisico, ma contribuiscono anche alla creazione delle nostre
esperienze emotive [4].
Un aspetto fondamentale dell'intelligenza emotiva,
secondo questa nuova prospettiva, è la "granularità emotiva". Questo
termine si riferisce alla capacità di distinguere e articolare sfumature
sottili nelle esperienze emotive. Le persone con una maggiore granularità
emotiva sono in grado di identificare e descrivere le loro emozioni in modo più
preciso e dettagliato [5]. La granularità emotiva non è solo una questione di
vocabolario. Rappresenta una maggiore capacità del cervello di costruire
esperienze emotive più raffinate e contestualmente appropriate. Questa abilità
è associata a una migliore regolazione emotiva, relazioni interpersonali più
soddisfacenti e una maggiore resilienza psicologica [6].
La teoria dell'emozione costruita ha profonde implicazioni per come concepiamo e sviluppiamo l'intelligenza emotiva. Tradizionalmente, l'intelligenza emotiva è stata vista come la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri. Alla luce di questa nuova teoria, possiamo ridefinirla come la capacità di costruire esperienze emotive più ricche, flessibili e adattive [7].
Sviluppare l'intelligenza emotiva, in questo contesto, implica:
1. Ampliare il proprio vocabolario emotivo: Imparare nuove parole per descrivere le emozioni può effettivamente aumentare la nostra capacità di sperimentare una gamma più ampia di stati emotivi [8].
2. Coltivare la consapevolezza interocettiva: Prestare attenzione alle sensazioni corporee può migliorare la nostra capacità di interpretare e regolare i nostri stati emotivi [9].
3. Esplorare diverse prospettive culturali: Le emozioni sono in parte costruzioni culturali. Esporsi a diverse culture può arricchire il nostro repertorio emotivo [10].
4.
Praticare la ricategorizzazione:
Imparare a reinterpretare le sensazioni fisiche associate alle emozioni può
aiutarci a gestire meglio stati emotivi difficili [11].
La comprensione delle emozioni come costruzioni può avere impatti significativi in vari ambiti:
La teoria dell'emozione costruita suggerisce che molti disturbi mentali potrebbero essere il risultato di previsioni interocettive cronicamente disregolate. Questo apre nuove possibilità per interventi terapeutici che si concentrano sul miglioramento della granularità emotiva e della consapevolezza interocettiva [12].
Insegnare ai bambini una comprensione più sfumata delle emozioni potrebbe migliorare la loro capacità di regolazione emotiva e le loro competenze sociali. Questo potrebbe includere l'insegnamento di un vocabolario emotivo più ricco e la pratica della consapevolezza delle sensazioni corporee [13].
Le organizzazioni potrebbero beneficiare di programmi di formazione che promuovono una maggiore granularità emotiva tra i dipendenti. Questo potrebbe portare a una migliore comunicazione, una risoluzione più efficace dei conflitti e un ambiente di lavoro più positivo [14].
Le teorie di Paul Ekman [15] e David Matsumoto [16] si concentrano sulla universalità delle espressioni facciali delle emozioni, proponendo che alcune emozioni fondamentali siano espresse e riconosciute allo stesso modo in tutte le culture. Ekman, in particolare, ha identificato sei emozioni fondamentali (rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa) che, secondo i suoi studi, sono associate a espressioni facciali universalmente riconoscibili. Matsumoto, in linea con Ekman, ha fornito ulteriori evidenze a sostegno di questa teoria, ampliando la comprensione di come le espressioni emozionali siano influenzate dalla cultura, ma senza negare l'esistenza di un nucleo universale.
Nel documento del 2009 di Matsumoto e Willingham, vengono evidenziati i dati che dimostrano come anche individui non vedenti dalla nascita esprimano emozioni con le stesse configurazioni facciali di coloro che vedono, suggerendo che queste espressioni non siano apprese visivamente ma piuttosto geneticamente programmate. In questo contesto, le loro ricerche pongono una forte enfasi sull'aspetto biologico e innato delle espressioni facciali, che sarebbe indipendente dall'apprendimento culturale.
Lisa Feldman Barrett, d'altra parte, propone una teoria alternativa, la "Theory of Constructed Emotion". In sintesi, Barrett sostiene che le emozioni non sono universali, ma costruite dall'individuo in base all'esperienza personale e culturale, piuttosto che biologicamente determinate. Secondo Barrett, il cervello non "legge" emozioni innate o universali, ma piuttosto costruisce emozioni basate su un processo interpretativo delle sensazioni corporee, in contesto con l'ambiente e le esperienze passate.
Le principali debolezze della teoria di Barrett, in confronto con le teorie di Ekman e Matsumoto, emergono da diverse considerazioni empiriche, come riportato nelle ricerche condotte da Matsumoto:
1. Prove empiriche a favore dell'universalità: Le ricerche di Matsumoto e Ekman forniscono solide evidenze che supportano l'universalità delle espressioni facciali, in particolare grazie agli studi sulle persone cieche. Come evidenziato da Matsumoto nel suo articolo del 2009, la capacità dei ciechi congeniti di esprimere emozioni attraverso configurazioni facciali identiche a quelle dei vedenti contrasta direttamente con la posizione di Barrett. Questo suggerisce che le espressioni emozionali non siano completamente costruite o apprese culturalmente, ma che esista una componente biologica innata.
2. Riconoscimento interculturale delle espressioni facciali: Un altro punto debole nella teoria di Barrett riguarda il riconoscimento delle espressioni facciali tra culture diverse. Mentre Barrett sostiene che l'interpretazione delle emozioni varia significativamente da cultura a cultura, le ricerche di Matsumoto (e anche di Ekman) hanno dimostrato che, nonostante alcune differenze culturali nel modo in cui le emozioni vengono espresse o interpretate, c'è comunque una capacità comune di riconoscere le emozioni fondamentali attraverso le espressioni facciali. Le analisi interculturali suggeriscono una convergenza nel riconoscimento di queste emozioni, che Barrett non riesce completamente a spiegare con la sua teoria costruttivista.
3. Base biologica delle emozioni: La visione costruttivista di Barrett minimizza il ruolo dei fattori biologici nel determinare le emozioni e le loro espressioni. Matsumoto, invece, sottolinea come le espressioni emozionali siano il risultato di un lungo processo evolutivo, e che siano presenti sin dall'infanzia e persino in situazioni di privazione sensoriale, come nel caso dei ciechi congeniti. L'universalità di certe espressioni, come il sorriso o la smorfia di dolore, suggerisce un substrato biologico che Barrett non riconosce pienamente.
4. Convergenza dei dati neuroscientifici: Mentre Barrett pone l'accento sul fatto che le emozioni siano il risultato di interpretazioni cognitive, alcune evidenze neuroscientifiche indicano che le emozioni fondamentali potrebbero avere radici neuronali condivise. Studi di neuroimaging, ad esempio, mostrano che certe aree cerebrali si attivano in modo simile durante l'esperienza di emozioni come la paura o la gioia, indipendentemente dal contesto culturale, suggerendo una base neurobiologica per alcune emozioni, a differenza della visione costruttivista di Barrett.
In sintesi, la teoria di Barrett, pur offrendo un'interessante prospettiva sull'influenza della cultura e dell'esperienza personale nell'interpretazione delle emozioni, presenta alcune debolezze quando confrontata con le prove empiriche fornite da Matsumoto ed Ekman. Le evidenze a favore dell'universalità delle espressioni facciali, in particolare nei casi di individui ciechi e nel riconoscimento interculturale delle emozioni, suggeriscono una componente innata nelle emozioni che la teoria costruttivista di Barrett non riesce a spiegare completamente.
La teoria delle emozioni costruite rappresenta certamente un cambiamento paradigmatico nella nostra comprensione delle emozioni, sfidando l'idea che queste siano universali e innate. Tuttavia, come dimostrato dalle ricerche di Ekman e Matsumoto, le emozioni sembrano essere profondamente radicate nella biologia umana e riconoscibili attraverso espressioni facciali universali, indipendentemente dalla cultura o dall'esperienza personale.
Nonostante la visione costruttivista offra una prospettiva interessante sull'importanza del contesto e dell'esperienza personale nella costruzione delle emozioni, le prove empiriche a favore dell'universalità delle espressioni e delle basi biologiche suggeriscono che l'emozione non può essere completamente ridotta a una costruzione cognitiva. L'intelligenza emotiva, quindi, si fonda non solo sulla capacità di interpretare le proprie emozioni in un contesto culturale e personale, ma anche sulla comprensione e riconoscimento di una base universale che collega l'esperienza umana a livello globale.
In conclusione, sebbene la teoria costruttivista di Barrett ci inviti a coltivare una maggiore consapevolezza delle nostre esperienze interne e ad adottare una visione dinamica e contestuale delle emozioni, le ricerche di Matsumoto ed Ekman ci ricordano che esiste un nucleo emotivo condiviso, biologico e universale. Questa comprensione complessiva permette di sviluppare un'intelligenza emotiva più completa, che combina sia la capacità di adattarsi alle esperienze individuali che la consapevolezza delle emozioni innate che attraversano le culture.
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